Lina Sastri

Sono nata a Napoli e le prime esperienze le ho fatte nella mia citta’. Sono stata prima attrice e poi spettatrice. Non ero mai stata a teatro, perche’ i miei familiari non avevano l’abitudine di andarci. Vivevo la mia adolescenza con un senso religioso e solitario della vita. Ero una che combatteva per studiare, faceva la comunione e ci credeva, si commuoveva; e aspettava il proprio compimento nello sposo, in quello che sarebbe stato l’uomo della vita, l’unico. Il teatro mi era sconosciuto. Lo consideravo una cosa da ricchi o da letterati. Perche’ e’ vero che esistono le classi, e il popolo al quale appartengo ha un suo snobismo al contrario, un’antica diffidenza che rifiuta la forma, anche quella dell’arte. E’ qualcosa che mi e’ rimasta e che mi rende difficile, e intensa, la vita. Pero’ lo avevo fatto a scuola, il teatro, con le suore. E me ne restava un ricordo, soprattutto di odori: odore di legno e di polvere (“il palcoscenico”) e odore di privilegio (“le ragazze della recita”) e di rigore insofferente. Mi piaceva. L’ho incontrato allora. Per caso, o per amore. Nella mia ignoranza di qualsiasi percorso non sapevo nemmeno che esistesse un’Accademia d’Arte Drammatica. E cosi’, finita l’adolescenza senza averla vissuta, mi venne improvvisa e violenta la voglia di viverla in modo piu’ adulto e infantile al tempo stesso. Un’adolescenza senza flirt ne’ compagnie ne’ spensieratezza. Ma piu’ densa, piu’ segreta e peccaminosa. E allora, ecco, il teatro. Ma come un sogno, come un gioco, finalmente. Mai ho pensato che avrei fatto l’attrice, mai. Era solo una follia, una follia di liberta’. Presi l’elenco del telefono, cercai sotto “scuole di recitazione”. Ne trovai una, la portava avanti una certa contessa. Pagai la quota, ma dopo tre settimane me ne andai. Mi era sembrata poco seria. Ero avida, si’, ma di rigore, di assoluto. Qualche mese dopo mi telefona uno dei compagni di quel corso. Mi dice che c’e’ un regista a Napoli, uno importante. Ha una scuola al Teatro Orione, un teatrino di preti… Ci andai, e ne restai incantata, assolutamente incantata di fronte al teatro vero (tale mi era parso, allora, quel teatrino). E fu immediata, mi ricordo, una convinzione: che solo nel teatro era possibile, almeno per me, vivere la condizione umana nella sua divinita’, nella sua bellezza. Ho sempre, allora e adesso, associato l’idea e il mistero dell’arte all’idea e al mistero della religione. E non potei fare altro. Lasciai gli studi, benche’ mi fossi appena iscritta all’universita’ (e pensare che proprio questo fatto di essere “universitaria” mi aveva fatto sentire molto autonoma e molto progredita!), e lasciai casa mia, subito, immediatamente. Non potevo fare altro che l’attrice. Vorrei dire che non e’ stata neppure una decisione, fatta di riflessioni, di pro e di contro. No, e’ stata una via naturale, semplice: come vivere. E anche quel difficile inizio, che nel ricordo a volte nobilito come una scelta responsabile e consapevole, mi apparve naturale. Cosi’ vennero i primi spettacoli a Napoli, la musica con la Nuova Compagnia di Canto popolare di Roberto de Simone, e poi l’abbandono e la fuga, perche’ volevo a tutti i costi venire a Roma (“a Roma… a Roma!…” come le tre sorelle di Checov che vogliono andare a Mosca). Avevo gia’ nostalgia (pensate “nostalgia”) del teatro, del rito. Cominciai con la Commedia dell’Arte. E l’amai subito, senza conoscerla. Come ho amato, e continuo ad amare il teatro, senza conoscerlo. Roma (oddio!, Piazza Navona, un altro mondo, la confusione, la felicita’) e la fame, la fame vera. Ma non me importava niente. Poi le “cooperative”. Montare e smontare, recitare, smontare la scena, ripartire…Era bellissimo. E sempre in questo mistero, il mistero dell’arte. Grande amore per il “teatro di strada”, per il tendone da circo, per lo spazio! Anche piccoli contatti, intanto, con l’altro teatro, quello piu’ vero, quello con le tende di velluto e il foyer. Ecco Eduardo il Grande. Io faccio la comparsa, poi mi danno una battuta, poi due, poi tre. E arriva la sostituzione di un’attrice malata, il caso classico, di tutte le biografie di attrici. Ho avuto il privilegio della stima di Eduardo, forse anche il suo affetto. C’e’ stato anche Peppino De Filippo. Con lui, di nuovo la Commedia dell’Arte. Grande attore e grande debolezza. Peppino padre, Eduardo amante (se non e’ una bestemmia). Di nuovo il tendone da circo, di nuovo Napoli, di nuovo la musica e infine la musica nel teatro : Masaniello, di Armando Pugliese, regista e uomo di teatro che poi, negli anni, avrei rincontrato e sarebbe diventato un amico, un compagno di avventura. Che emozione, che fortuna, averlo vissuto! C’era gente, gente che non era mai stata a teatro (lo sapevo bene), che affollava il tendone, che veniva e tornava, anche molte volte di seguito, sempre la stessa.. con la merenda in mano, i fiori lasciati sulle tavole (ah, quella polvere, quel legno). Poi Roma, gli applausi e gli addetti ai lavori che si chiedevano:”Ma chi e’ quella li’?”. Lo dicono ancora, anche adesso, dopo qualche anno. Ancora la solita domanda: “Ma chi e’ quella li’?”. E’ bello, mi piace, nonostante tutto. Due anni di fatica, di giovinezza, e sempre, sempre di mistero. Sotto la tenda e nelle piazze. E infine, di nuovo il teatro piu’ vero, con tende, foyer e tutto il resto. L’Eliseo di Roma, con Patroni Griffi. Il mio maestro. Mi vede cantare in napoletano sotto la tenda e senza neanche farmi fare un provino mi chiama a recitare Goldoni all’Eliseo. E’ una cosa che non dimentichero’ mai. A me l’abbandono e’ difficile, quasi impossibile. Ma con Peppino Patroni Griffi no, a lui mi affido totalmente. Perche’ prima di essere un regista e’ un artista. Perche’ mi rispetta, mi esalta e mi comprende. E’ anche questa una confessione d’amore? Forse, non so. In Pirandello, nei Sei Personaggi, ci siamo incontrati come due amanti. E sempre, ogni giorno, ogni sera, sento sempre piu’ chiaramente che il lavoro dell’attore, la missione dell’attore sono lunghi, faticosi, sorprendenti. Come la vita, perche’ bisogna arrivare alla semplicita’ massima, quella dell’esserci e basta. Umilmente e coraggiosamente. E sempre, sempre, misteriosamente. E poi ancora teatro, e poi il cinema, l’Immagine, che tanto odio e amo, perche’ resta, perche’ fa paura… e con il cinema occhi che mi hanno guardato con ammirazione e stima, anche con affetto, come l’amico Gianfranco Mingozzi, a cui devo il mio debutto cinematografico, che mi ha accettata e amata cosi’ come sono, il grande, compianto Nanni Loy (che ancora mi manca), o Ricky Tognazzi, o con sospetto come Nanni Moretti e Carlo Lizzani. E poi la musica, quella di Pino Daniele, quella, ancora, che cantava mia madre, i grandi classici della mia terra-madre-padrona, che mi ama e a volte mi teme… E ancora il teatro, il musical… E poi il mio teatro. L’incontro con Kokocinski, uomo e artista delle meraviglie, la nascita di un teatro, musica che coniuga tutte le arti, dalla pittura alla poesia, alla musica, sul palcoscenico, in uno spazio che conosco, che non mi basta piu’ interpretare, ma che devo creare ora, reinventare… a modo mio, seguendo il mio cuore. E allora ecco Cuore Mio, e tutti gli altri spettacoli tra musica e teatro, in Italia e nel mondo. E poi?…